DR. MED.
HENRICH STIFTUNG
www.dr-med-henrich.foundation

Premessa dell’autore

Già il genio Albert Einstein disse molti decenni fa, che:

«Nulla sarà più benefico per la salute umana e aumenterà le possibilità di sopravvivenza della Terra, dell‘evoluzione verso una dieta vegetariana.»

Parole straordinarie, pronunciate in un’epoca in cui non si sapeva ancora molto delle relazioni e ripercussioni dell’alimentazione sulla salute, sull’ambiente, sul clima, sulla fame nel mondo, sui diritti umani e animali. Se Albert Einstein avesse avuto accesso alle cognizioni di cui disponiamo adesso grazie alle scienze moderne, avrebbe di certo modificato leggermente le sue parole:

«Nulla sarà più benefico per la salute umana e aumenterà le possibilità di sopravvivenza della Terra, dell‘evoluzione verso una dieta vegana.»

L’alimentazione vegana non contiene nessun tipo di componenti animali. Se adottata in modo corretto e variato, rappresenta la nutrizione più sana, sostenendo contemporaneamente e in maniera ottimale l’ambiente, il clima, gli animali e l’uomo. Data l’enorme importanza dell’alimentazione e della filosofia di vita vegana per ogni singola persona, per la società in generale, – in particolare per i nostri figli e nipoti -, per l’ambiente, il clima e gli animali, ho deciso di pubblicare questo piccolo opuscolo, perché solo chi dispone di sufficienti informazioni attendibili è in grado di prendere le decisioni giuste per il proprio bene e per il bene del mondo.

Le abitudini alimentari delle nazioni industrializzate incidono drammaticamente sulla salute degli uomini, sul mutamento climatico, sull’ambiente in generale, sul destino degli animali, su quello di milioni di uomini che soffrono la fame e sulla morte per fame di milioni di bambini. L’obiettivo di questo opuscolo e del sito Web www.dr-med-henrich.foundation è quello di presentare i tantissimi vantaggi dell’alimentazione vegana per l’uomo, gli animali, l’ambiente e il clima.

È importante sapere che la dieta vegana non è neanche minimamente sinonimo di vita ascetica o di rinuncia, ma di godimento culinario puro, come dimostrano in modo molto convincente i tanti ricettari e ristoranti vegani.

Il filmato che accompagna questo opuscolo si trova a

www.dr-med-henrich.foundation/filmato-vegano/

Dr. med. Ernst Walter Henrich

 

Aggiornato da: Sonja Grobert, D-Heidelberg, IUED

L’alimentazione più sana

A favore dei diritti umani

Sono più di 1 miliardo (1.000.000.000) le persone che soffrono la fame su scala mondiale. Ogni secondo su questo pianeta, una persona muore di fame, 30 milioni (30.000.000) di persone all’anno.

Ogni giorno muoiono di fame fino a 43.000 bambini mentre circa il 50 % del raccolto dei cereali e ca. il 90 % del raccolto di soia globale è destinato a foraggiare gli «animali da reddito» per produrre carne e latte! Il foraggiamento di alimenti vegetali per la produzione di prodotti animali, che costituiscono una minaccia per la salute, rappresenta un’assurdità, uno scandalo e uno spreco estremo: per produrre solo 1 kg di carne, a seconda della specie animale, sono necessari fino a 16 kg di alimenti vegetali e 10 – 20 tonnellate (10.000 – 20.000 litri!) di acqua.

Il «Terzo Mondo» esporta alimenti vegetali per l’allevamento degli «animali da reddito» nelle nazioni industrializzate, anche se bambini e adulti in quegli stati poveri soffrono e muoiono di fame. Sicuramente conoscete il famoso detto: «Gli animali dei ricchi mangiano il pane dei poveri». La carestia del 1984 in Etiopia, per esempio, non è stata causata dal fatto che l’agricoltura locale non avesse prodotto abbastanza alimenti, ma dal fatto che questi alimenti siano stati esportati verso l’Europa, dove sono serviti da foraggio per gli «animali da reddito». Durante la crisi di fame, che ha visto morire decine di migliaia di uomini, gli Stati europei importavano cereali dall’Etiopia usandoli come foraggio per galline, maiali e bovini. Se i cereali fossero stati utilizzati per nutrire gli etiopi nel proprio paese, non ci sarebbe stata nessuna carestia. In Guatemala circa il 75 % dei bambini con meno di 5 anni risulta essere denutrito. Ciononostante ogni anno vengono prodotte più di 17.000 tonnellate di carne, destinate all’esportazione negli USA. Per ingrassare questi animali sono necessarie quantità immense di cereali e soia che non si trovano perciò più a disposizione dei bambini denutriti. Invece di nutrire gli affamati del mondo, portiamo via loro il cibo per ingrassare gli «animali da reddito», tormentati per soddisfare la nostra smisurata avidità di carne, uova e latte che alla fine poi ci fa ammalare.

Già nel 2002 la rivista britannica «The Guardian» dichiarò:

«Adesso risulta evidente che l’alimentazione vegana è l’unica risposta etica possibile al problema più urgente del mondo, l’ingiustizia sociale (la fame nel mondo).»

Stando al Dr. W. Bello, direttore del «Institute for Food and Development Policy»,

«vi è abbastanza cibo per tutto il mondo. Ma tragicamente la maggior parte degli alimenti e delle superfici mondiali vengono utilizzate per produrre bovini e altri animali da reddito – vale a dire alimenti per i ricchi – mentre milioni di bambini e adulti soffrono di fame e malnutrizione.»

La dichiarazione del «WorldWatch Institute» non lascia spazio a dubbi:

«Il consumo di carne rappresenta un uso inefficiente dei cereali – i cereali sarebbero utilizzati in modo più efficiente se consumati direttamente dagli uomini. L’aumento continuo dei proventi realizzati con la produzione di carne dipende dai cereali foraggiati agli animali e ciò comporta una lotta concorrenziale per i cereali tra il numero crescente di carnivori e i poveri del mondo.»

Il Dr. W. Bello già menzionato, in veste di direttore del «Institute for Food and Development Policy», sottolinea che l’allevamento di animali per la produzione di carne è uno spreco di risorse:

«... l’alimentazione fast-food e l’abitudine dei ricchi di questo pianeta di consumare carne, sostengono un sistema di alimentazione globale che sottrae le risorse alimentari agli affamati.»

Philip Wollen è l’ex-vicepresidente della Citibank, che all’età di 34 anni fu incluso dalla rivista australiana di economia nella lista dei top 40 dei dirigenti più influenti. All’età di 40 anni, ha cambiato vita totalmente, perché ha voluto fare la propria parte contro i crimini nei gli animali, gli uomini e l’ambiente:

«Quando giro il mondo, vedo i paesi poveri vendere il loro grano all’Ovest, mentre i loro propri bambini muoiono di fame nelle loro braccia. E l’Ovest dà da mangiare questo grano agli «animali d’allevamento». È questo solo perché noi possiamo mangiare la bistecca? Sono io l’unico che vede che questo è un crimine? Mi creda, ogni pezzo di carne che mangiamo è un colpo nella faccia gonfia di pianto di un bambino affamato. Come potrei continuare a tacere, quando guardo negli occhi di questo bambino? La terra può produrre abbastanza cibo per il bisogno di tutti. Ma non abbastanza per l’avidità di tutti.»

Qui di seguito riportiamo due citazioni di Jean Ziegler, già Consigliere nazionale svizzero e incaricato speciale dell’ONU:

«Il raccolto globale di cereali ammonta a circa due miliardi di tonnellate all’anno. Più di 500.000.000 tonnellate servono a foraggiare gli animali delle nazioni ricche – mentre, stando a una statistica dell’ONU, nei 122 Paesi del Terzo Mondo ogni giorno muoiono di fame 43.000 bambini. Non voglio più essere parte di questa strage terribile: non mangiare più carne è il minimo come punto d’inizio.»

«Un bambino che oggi muore di fame, viene ammazzato.»

Ammazzato da chi? Da tutti coloro che partecipano a questo sistema. Per essere più precisi, da tutti quei consumatori che finanziano questo sistema con i loro acquisti!

Contrariamente a ragione e moralità, la politica, in particolare l’UE, sovvenziona in modo massiccio attraverso le tasse, l’industria della carne e del latte. Le sovvenzioni agrarie nell’UE ammontano a circa la metà del bilancio UE, più di 50 miliardi di Euro all’anno. L’assurdità e l’irragionevolezza delle sovvenzioni dell’UE trovano un chiaro esempio nel fatto che da una parte sono state finanziate campagne contro il consumo del tabacco, mentre dall’altra si finanziava contemporaneamente anche la coltivazione di questa pianta – e ciò fino al 01.01.2010 – per tanti anni si sono letteralmente sprecate le nostre tasse.

Le flotte da pesca delle nazioni industrializzate come gli USA, il Giappone e l’Europa acquistano i diritti di pesca per le zone intorno a Paesi poveri quali l’Africa e l’America del Sud. Una volta svuotati i mari di quei Paesi, proseguono lasciando un ecosistema devastato e una popolazione che soffre la fame. In un articolo della rivista britannica «The Guardian» si legge:

«Possiamo mangiare pesce, ma soltanto se siamo pronti a contribuire al crollo degli ecosistemi marini e – visto che le flotte europee svuotano i mari davanti all’Africa occidentale – alla fame degli uomini più poveri del mondo. È impossibile non arrivare alla conclusione che l’unica opzione accettabile e socialmente giustificabile è quella che gli abitanti del mondo ricco, come anche la maggior parte degli uomini su scala mondiale, conducano una vita ampiamente vegana.»

Ognuno di noi decide giorno per giorno se intende partecipare al sistema dell’industria degli animali da reddito consumando carne, latte, formaggio e uova – con tutte le conseguenze brutali per l’ambiente, gli affamati e gli animali di questo mondo.

Per ulteriori informazioni raccomando vivamente:

  • Food Revolution, Ernährung – Der Weg zu einem gesunden Leben in einer gesunden Welt, di John Robbins (in lingua tedesca), Hans-Nietsch-Verlag, ISBN 3-034647-50-2 Un libro fantastico – molto raccomandabile!

Le motivazioni morali

Nella nostra società è considerato del tutto normale e moralmente lecito sfruttare gli animali a vantaggio dell’uomo (per esempio «vacche da latte»), torturarli (ad esempio tramite esperimenti) e ucciderli (come per gli «animali da macello»).

L’evoluzione ha dotato l’uomo di capacità e mezzi che gli permettono di realizzare questo sfruttamento, mettendolo in una condizione privilegiata e seducente in quanto il potere del più forte lo porta a vantare anche il «Diritto del più forte». Il «Diritto del più forte» è pertanto la base dello sfruttamento, della tortura e dell’uccisione degli animali.

Al contrario però, nella nostra società viene considerato un segno di moralità generalmente riconosciuto ed elementare proprio il fatto di non fare uso del «Diritto del più forte». I valori morali autentici non tollerano nemmeno l’uso arbitrario della forza da parte del più potente a favore dei propri interessi. «Diritto del più forte» e morale autentica sono concetti opposti che si escludono a vicenda. Poiché il «Diritto del più forte» non può concordare con i valori morali generalmente riconosciuti nella nostra società – visto che proprio con la moralità si deve superare l’arbitrio del più forte -, bisognerà verificare se è possibile far coincidere, in modo concludente e senza contraddizioni, lo sfruttamento degli animali più deboli da parte dell’uomo, con una morale autentica.

Al fine di legittimare «moralmente» lo sfruttamento degli animali, la società si serve di un costrutto «etico» speciale. La specie umana reclama per se stessa un «valore» intrinseco superiore, escludendo la specie animale dai criteri etici vigenti. Il potere del più forte permette l’innalzamento del proprio «valore» e l’esclusione di quello degli animali. È sufficiente adottare le leggi della logica per verificare molto facilmente se questo costrutto speciale, che permette lo sfruttamento degli animali, sia compatibile con una morale autentica. Come già descritto, il segno di una morale autentica si esprime nella sua indipendenza dal «Diritto del più forte» e nel fatto che la sua validità non viene pregiudicata dagli interessi del più forte.

A questo punto vi invito a immaginare l’esistenza di un cosiddetto «super-essere» che si trovi ad un livello evolutivo più elevato e sia dotato di maggiore forza fisica e di un’intelligenza di gran lunga superiore rispetto a quella dell’essere umano. È assolutamente possibile che gli scienziati riescano a realizzare questa ipotesi attraverso l’ausilio dell’ingegneria genetica ovvero attraverso l’ottimizzazione dei geni. Questa specie di «super-esseri» sarebbe tanto superiore alla specie umana quanto adesso l’uomo è superiore a quella animale. Ovviamente anche questa specie di «super-esseri» reclamerebbe per sé un «valore» superiore rispetto a quello dell’uomo.

L’uomo sarebbe escluso dal sistema morale vigente dei «super-esseri» e forzato in un costrutto «etico» speciale.

Secondo questa costellazione, questi «super-esseri» sarebbero in possesso del diritto «morale» del più forte e potrebbero perciò ...

  • torturare gli uomini per tutta la vita in una specie di allevamento di massa oppure in campi di concentramento?
  • macellare gli uomini in mattatoi, parzialmente senza anestesia?
  • ingravidare le madri umane in continuazione per rubare il loro latte?
  • rubare i piccoli delle madri affinché i neonati umani non bevano il latte?
  • uccidere i bebè rubati alle loro madri per trasformarli in carne e salame?
  • uccidere gli uomini affetti da BSE e i loro parenti in impianti di distruzione di massa?
  • trasportare gli uomini per giorni e giorni senza cibo e acqua?
  • testare sugli uomini dei farmaci con tutte le torture conseguenti?
  • realizzare sugli uomini gli esperimenti «scientifici» più crudeli?
  • testare sugli uomini delle sostanze tossiche per scoprire la dose letale?
  • celebrare, come atto culturale, rituali omicida nelle «arene per le corride»?
  • esporre uomini in carceri e chiamarli «zoo»?
  • forzare gli uomini a eseguire acrobazie e chiamare tutto ciò «circo»?
  • classificare la caccia agli uomini come sport e addirittura come mezzo per la protezione della natura?
  • emanare una legge di protezione degli uomini che dichiari ragionevole ucciderli – a volte anche senza anestesia – per mangiare la loro carne insana e per portare la loro pelle come capo di abbigliamento?
  • realizzare esperimenti su uomini per testare farmaci presumibilmente efficaci contro le malattie causate dal consumo insano di carne umana?

Non trova, che se questi «super-esseri» superiori trattassero lei e la sua famiglia in un modo simile ciò andrebbe contro qualsiasi morale degna di tale nome? Perché mai? I «super-esseri» si troverebbero nella medesima posizione che lei adesso vanta nei confronti degli animali, lei sarebbe l’animale. È proprio il «Diritto del più forte» a motivare la morale secondo la quale lei, come essere umano ha diritto a mangiare carne animale e acquistare prodotti di origine animale, ma effettuando tali acquisti si incarica la società di arrecare agli animali tutte le crudeltà sopra descritte.

Schopenhauer disse: «La compassione è il fondamento della morale». La compassione per il più debole che dipende dalle mie grazie. Ovviamente adesso, come persona compassionevole, lei affermerà a ragione che un «super-essere» agisce in modo morale soltanto quando tratta con riguardo gli uomini più deboli, e quindi lei e la sua famiglia. Se però è da considerarsi immorale lo sfruttamento della specie umana da parte della specie superiore dei «super-esseri» a causa del potere del più forte, allora è una conseguenza logica il fatto che lo sfruttamento della specie animale da parte della specie umana rappresenti un’ingiustizia ugualmente immorale per via della situazione di partenza assolutamente identica.

Conseguentemente, le azioni di noi esseri umani possono essere definite morali soltanto quando trattiamo con riguardo gli animali più deboli che dipendono dalle nostre grazie, vale a dire quando con il nostro comportamento di consumatori davanti al banco non impartiamo più incarichi di sfruttamento crudele degli animali più deboli. O è del parere che i valori morali siano validi soltanto quando le sono utili o quando la proteggono contro il potere del più forte?

Se la moralità viene utilizzata a titolo gratuito, se pertanto dipende dalla forza o dalla debolezza, allora non è una morale autentica, ma una pseudo-morale che serve a imporre brutali esigenze egoistiche a svantaggio dei più deboli e indifesi. Una pseudo-morale come costrutto ausiliario psicologico, per abbellire la propria partecipazione a questi crimini e per far tacere la propria coscienza. 

Che genere di morale sarà mai, quella che riconosciamo soltanto quando ci procura un vantaggio brutale ed egoistico a scapito dei più deboli, mentre improvvisamente non vogliamo più accettare questa identica morale, se ci ritroviamo nella posizione di dover supportare sofferenze, sfruttamenti e morte da parte dei più forti? Una tale morale viene smascherata per ciò che è: pseudo-morale, immoralità e crimine morale.

Pertanto è evidente ed è stato dimostrato che il «costrutto etico speciale» praticato nella nostra società nei confronti degli animali in realtà non è nient’altro che una «pseudo-morale» distorta e sconclusionata, nata per giustificare i crimini contro i più deboli. Oltre ciò, i crimini legittimati dall’ausilio di questa pseudo-morale vengono addirittura legalizzati dalle cosiddette leggi per la «protezione degli animali», cosicché a prima vista appaiono moralmente ineccepibili e senza necessità di essere analizzati criticamente. A questo punto dovrebbe risultare evidente e comprensibile per chiunque l’argomentazione supportata da regole logiche che dimostra come il fondamento per lo sfruttamento degli animali non è altro che un’immoralità mascherata.

Adesso può decidersi: Vuole essere parte dei crimini commessi contro i più deboli a causa del consumo di prodotti di origine animale con il pretesto di una pseudo-morale o preferisce arricchire la sua vita dando una chance a una morale autentica e indivisibile che abbracci anche i più deboli?

La storia dell’umanità è piena di crimini morali che una volta erano legali. Si pensi per esempio alla schiavitù ed al razzismo. Proprio per questo motivo, l’attivista per i diritti umani nonché vincitore del Nobel per la pace Dott. Martin Luther King, ha affermato:

«Non dovremmo mai dimenticare che tutto quello che Adolf Hitler fece in Germania fu legale».

Il continuo tormento, sfruttamento e l’uccisione degli animali è legale. Il destino degli animali è probabilmente il peggiore e il più orribile causato dalla mano dell’uomo. Il vincitore del Nobel per la letteratura John Maxwell “J.M” Coetzee commenta:

«Permettetemi di dire con franchezza una cosa: siamo circondati da un’impresa di degradazione, crudeltà e sterminio che può rivaleggiare con ciò di cui è stato capace il Terzo Reich, anzi, può farlo apparire poca cosa al confronto, poiché la nostra è un’impresa senza fine, capace di auto-rigenerazione, pronta a mettere incessantemente al mondo conigli, topi, polli e bestiame con il solo obiettivo di ammazzarli.».

Il vincitore ebreo del Nobel per la letteratura Isaac Bashevis Singer, che ha perduto numerosi famigliari durante la persecuzione degli ebrei, si esprime così:

«Non vi sarà pace fin quando l’uomo spargerà il sangue degli animali. Tra uccidere animali e creare camere a gas come Hitler o campi di concentramento come Stalin, il passo è assai breve. […] Non vi sarà giustizia fin quando l’uomo reggerà un coltello o una pistola e li userà per distruggere coloro che sono più deboli di lui».

Il vincitore del Nobel Romain Rolland (1866 – 1944), che non visse nemmeno i crimini dell’allevamento industriale, scrisse:

«La crudeltà nei confronti degli animali e anche la sola indifferenza davanti alle loro sofferenze è, secondo me, uno dei più gravi peccati del genere umano e costituisce la base dell’immoralità umana. Se l’uomo provoca così tanta sofferenza, quale diritto ha di lamentarsi se poi deve soffrire lui stesso?»

Per ulteriori informazioni raccomando vivamente:

  • Food Revolution, Ernährung – Der Weg zu einem gesunden Leben in einer gesunden Welt, di John Robbins (in lingua tedesca), Hans-Nietsch-Verlag, ISBN 3-034647-50-2 Un libro fantastico – molto raccomandabile!

Per la tutela e i diritti degli animali

 

A prima vista non è facile riconoscere l’entità e la qualità dello sfruttamento degli animali ad opera dell’uomo che avviene dietro mura alte in modo da non far passare ai mandanti, vale a dire ai consumatori, la voglia di mangiare carne, latte e uova.

È vero che di tanto in tanto guardiamo reportage televisivi e filmati sulle condizioni regnanti nelle fabbriche di animali, nei mattatoi, durante il trasporto di animali, ecc., le cui condizioni orripilanti vengono però sdrammatizzate rapidamente dall’industria animale e dai politici con formule standardizzate per tranquillizzare i consumatori («Eccezioni», «falsificato», «manipolato», «non attuale», ecc.). Tuttavia, se approfondiamo l’argomento come normali cittadini imparziali, allora ci rendiamo conto molto in fretta di quanto sia estrema la situazione reale degli animali. La miglior cosa è informarsi recandosi personalmente sul posto e con filmati. I testi tendono piuttosto a bagatellizzare il problema.

La relazione redatta all’epoca dalla studentessa di medicina veterinaria, oggi veterinaria Christiane M. Haupt, sulle sue esperienze nella normalissima quotidianità dell’industria animale ci permette una prima visione abbastanza chiara. Qui di seguito si riporta integralmente. (Fonte: www.vegetarismus.ch/heft/98-2/schlacht-en.htm):

«Per un piccolo boccone di carne ...

Sul cartello sopra la rampa di cemento si legge: ‹Si accettano soltanto animali trasportati in modo umanitario e identificati regolarmente›. In fondo alla rampa giace un maiale morto, rigido e pallido. ‹Sì, alcuni muoiono già durante il trasporto. Collasso circolatorio.› Che fortuna che mi sono portata la giacca vecchia! Anche se siamo solo agli inizi di ottobre, fa un freddo tagliente, ma non è solo per questo che sento freddo.

Affondo le mani nelle tasche, mi costringo ad assumere un’espressione gentile e ad ascoltare il direttore del mattatoio che mi sta spiegando che già da molto tempo non si fanno più esami sanitari, ma solo un’ispezione degli animali vivi. 700 maiali al giorno, come fare? In ogni caso, non ci sono animali malati. Questi li rimanderemmo immediatamente indietro e il fornitore pagherebbe una multa salata. Lo farebbe un’unica volta e mai più! Annuisco pragmaticamente in segno di approvazione – tieni duro, devi solo tener duro, devi superare queste sei settimane -. Che cosa succede con i maiali malati? ‹Per quelli abbiamo un mattatoio molto speciale.› Mi vengono fornite informazioni in merito alle normative sul trasporto e sul fatto che oggigiorno si bada molto di più al rispetto delle disposizioni in materia di tutela degli animali. Queste parole pronunciate in un luogo come questo assumono un tono macabro. Nel frattempo il camion a due piani si è avvicinato alla rampa sotto di noi accompagnato dal disperato coro di grugniti del suo carico. Nell’oscurità mattutina è difficile identificare i dettagli; lo scenario ha un che di irreale e ricorda quei cinegiornali spettrali dell’epoca della Guerra, file di vagoni grigi pieni di visi pallidi e impauriti che si accalcano vicino alle rampe di caricamento, attraverso le quali uomini armati di fucili spingono un corteo di persone con il capo abbassato. E improvvisamente mi ritrovo in mezzo a tutto questo. Una cosa del genere è normalmente frutto di incubi dai quali ci si risveglia in un bagno di sudore. In mezzo alla nebbia che si diffonde, al freddo glaciale e alla sudicia penombra di questo fabbricato indicibilmente repulsivo, di questo blocco anonimo di cemento armato e piastrelle bianche, ubicato nell’angolo più recondito ai margini del bosco irrigidito dal freddo: è qui che succede l’inesprimibile, ciò che nessuno vuole sapere.

La prima cosa che sento quando arrivo quella mattina per iniziare il tirocinio obbligatorio, il cui rifiuto avrebbe significato perdere cinque anni di studi e veder fallire tutti i miei progetti per il futuro, sono le grida. Ma tutto in me – ogni fibra, ogni pensiero – è rifiuto, è ribrezzo e orrore e la sensazione di un’impotenza non più aumentabile. Il dover guardare, il non poter fare nulla, e la coscienza che mi costringeranno a partecipare e a imbrattarmi anch’io di sangue. Già da lontano, quando scendo dall’autobus, le grida dei maiali mi colpiscono come coltellate. Per sei lunghe settimane mi echeggeranno stridule nelle orecchie, ora dopo ora, senza tregua. Devo tener duro. Mi ripeto: prima o poi per te finirà , per gli animali mai.

Una cosa del genere è normalmente frutto di incubi dai quali ci si risveglia in un bagno di sudore. Un cortile spoglio, alcuni camion frigoriferi, carcasse di maiali sospese ai ganci davanti a una porta illuminata da una luce abbagliante. Tutto scrupolosamente pulito. Questa è la facciata anteriore. Cerco l’ingresso che si trova su un lato. Due carri bestiame passano davanti a me – fari gialli nella foschia mattutina. Una luce fioca mi indica la strada. Le finestre sono illuminate. Un paio di gradini e poi sono dentro. E qui tutto è piastrellato in bianco. Non c’è anima viva. Un corridoio bianco – ecco, lo spogliatoio per signore. Sono quasi le sette, mi cambio: bianco, bianco, bianco. Il casco prestatomi balla grottescamente sui capelli lisci. Gli stivali sono troppo grandi. Torno nel corridoio strascicando i piedi, poco è mancato che mi scontrassi con il veterinario di turno. Saluto cortese. ‹Sono la nuova praticante.› Prima di iniziare bisogna sbrigare le formalità. ‹Si metta qualcosa di caldo, vada dal direttore e consegni il suo certificato sanitario. Il dott. X le dirà poi da dove dovrà incominciare.›

Il direttore è un signore affabile che dapprima mi racconta dei bei vecchi tempi quando il mattatoio non era ancora stato privatizzato. Con mio rammarico smette poi di parlare e decide di farmi personalmente da guida. E così mi ritrovo sulla rampa. A destra quadrati di cemento nudi, circondati da barre gelide in acciaio. Alcuni di questi quadrati sono già pieni di maiali. ‹Qui cominciamo alle cinque di mattina.› Spinte, piccole baruffe qua e là, un paio di grugni curiosi che sporgono dalle griglie, occhi furbi, altri irrequieti e confusi. Una grande scrofa si scaglia ostinatamente contro un’altra; il direttore cerca un bastone e la colpisce più volte alla testa. ‹Sennò, si mordono pericolosamente.› Sotto il camion ha abbassato la ribalta di legno. I maiali che si trovano in prima linea indietreggiano spaventati dal ponte traballante e inclinato, ma quelli di dietro spingono, perché un guardiano è salito tra loro e distribuisce forti colpi con un tubo di gomma. Più tardi non mi meraviglierò più delle tante strie rosse che si trovano sulle carcasse dei maiali.

Ormai è vietato usare il bastone elettrico sui maiali›, insegna il direttore. Alcuni animali osano fare i primi passi procedendo a stento, insicuri, poi seguono ondeggianti gli altri maiali, uno scivola con la zampa tra la ribalta e la rampa, si rialza, continua zoppicando. Si ritrovano tra controventature in acciaio che li conducono inesorabilmente in uno stabbio ancora vuoto.

Quando si tratta di girare un angolo, i maiali anteriori si incastrano, tutti sono bloccati e il guardiano impreca furioso avventandosi sugli animali che stanno dietro e che, presi dal panico, cercano di saltare addosso ai compagni di sventura. Il direttore scuote la testa. ‹Senza cervello. Semplicemente senza cervello. Quante volte ho già detto che non serve a nulla picchiare quelli che stanno dietro!› Mentre io seguo ancora impietrita questo spettacolo – non può essere vero, sto sognando – il direttore si gira e saluta l’autista di un altro camion che ha parcheggiato accanto all’altro preparandosi a scaricare. Qui tutto va molto più celermente, ma anche con molto più chiasso. Il motivo per questo lo capisco soltanto quando dietro ai maiali, che si muovono incespicando, dal vano di carico appare un secondo uomo che distribuisce scosse elettriche a ogni animale che non si muove con la dovuta velocità. Fisso l’uomo, poi il direttore. Quest’ultimo scuote di nuovo la testa: ‹Ma insomma, Lei sa che questo metodo è ormai vietato per i maiali!› L’uomo lo guarda incredulo, poi si infila l’apparecchio in tasca.

Chi parla dell’intelligenza e della curiosità negli occhi di un maiale? Qualcosa da dietro mi spinge contro il poplite, mi giro di scatto e mi vedo di fronte due occhi azzurri e svegli. Conosco tanti amici di animali che parlano con entusiasmo degli occhi così pieni di vita dei gatti, dello sguardo fedele dei cani – e chi parla dell’intelligenza e della curiosità negli occhi di un maiale? Presto conoscerò questi occhi in modo ben diverso: gridando silenziosi di paura, opachi dal dolore, e poi vitrei, spenti, strappati dalle cavità, rotolanti sul pavimento imbrattato di sangue. Mi assale un pensiero tagliente che nelle prossime settimane ripeterò con il pensiero in modo monotono centinaia e centinaia di volte : mangiare carne è un crimine – un vero e proprio crimine: ...

Segue poi un breve giro per il mattatoio che inizia nella sala pause. Una facciata di finestre aperte che danno sulla sala di macellazione. In una fila interminabile sono sospese alla catena le carcasse di maiali smorte e sanguinanti. Incuranti di ciò due impiegati stanno facendo colazione. Panini con salsicce. I grembiuli bianchi dei due sono sporchi di sangue, sotto uno stivale di gomma pende un brandello di carne. Il chiasso inumano, che fra poco mi assorderà quando mi condurranno nella sala di macellazione, qui ancora è smorzato. Indietreggio di scatto quando una carcassa di maiale sfreccia svoltando a un angolo e va a sbattere violentemente contro la prossima. Mi ha sfiorata, ancora calda e flaccida. Non è vero – è assurdo – impossibile. Senza volerlo uno si aspetta di incontrare dei mostri, ma è il vecchietto simpatico della porta accanto, il giovanotto sconsiderato della strada ...

Tutto questo mi assale contemporaneamente. Grida stridule. Lo stridio delle macchine. Lo sbatacchio di lamiere. Il puzzo penetrante di peli bruciati e pelle bruciacchiata. Il vapore di sangue e acqua bollente. Risa, voci incuranti. Coltelli che guizzano, tendini perforati da ganci, carcasse di animali ad essi appesi, senza occhi e con muscoli che si contraggono. Pezzi di carne e organi che cadono con un tonfo in un canale pieno di sangue, così che la broda ripugnante mi schizza addosso. Fibre grasse di carne sul pavimento sulle quali si scivola. Persone vestite di bianco, dai loro grembiuli scorre il sangue; visi, sotto i caschi o i berretti, che si incontrano dappertutto: nella metropolitana, al cinema, al supermercato. Senza volerlo uno si attende di incontrare dei mostri, ma è il vecchietto simpatico della porta accanto, il giovanotto sconsiderato della strada, il signore ben curato della banca. Mi salutano cortesemente. Il direttore mi mostra rapidamente la sala di macellazione per i bovini, che oggi è vuota. ‹Il turno dei bovini è martedì!› dice. Poi incarica una signora di occuparsi di me e si dilegua. Ha da fare. ‹La sala di abbattimento la può ispezionare Lei stessa con tutta tranquillità.› Trascorreranno tre settimane, prima che io trovi la forza per farlo.

Per me il primo giorno è come un ultimo giorno di respiro. Sono seduta in una stanzetta accanto alla sala pause e per ore e ore sto pescando piccoli pezzettini di carne da un secchio di campioni che viene riempito a intervalli regolari da una mano sporca di sangue nella sala di macellazione. Ogni pezzettino è un animale. Il tutto viene tritato a porzioni, mescolato con acido cloridrico e poi cotto per individuare l’eventuale presenza di trichine. La signora mi mostra tutto. Non si trovano mai trichine, ma questa è la normativa.

Il giorno successivo io stessa divento parte del meccanismo gigantesco di smembramento. Una breve istruzione – ‹Qui si devono eliminare i residui dell’anello della laringe e tagliare i linfonodi mandibolari. A volte agli unghioni rimane attaccata una lamina ungueale che si deve staccare.› – e comincio a tagliare, devo essere veloce, il nastro continua a scorrere, a scorrere... Sopra di me si eliminano altre parti del cadavere. Se il collega lavora con troppo slancio e se nel canale davanti a me si accumula troppa broda sanguinosa, la pappa mi si spruzza fino al viso. Cerco di spostarmi dall’altro lato per evitarlo, ma là stanno tagliando i maiali a pezzi con seghe gigantesche che spruzzano acqua; è impossibile sostare in quella zona senza bagnarsi fino all’osso. A denti stretti continuo a tagliare malamente, ancora devo sbrigarmi troppo e ciò mi impedisce di riflettere su tutto questo orrore e in più devo stare terribilmente attenta a non tagliarmi le dita.

Il giorno dopo mi faccio subito prestare dei guanti a maglie di ferro da una compagna di studi che ha già superato tutto questo. E la smetto di contare i maiali grondanti che mi passano davanti. E non uso più nemmeno i guanti di gomma. È certamente tremendo frugare a mani nude nei cadaveri ancora caldi, ma visto che è inevitabile sporcarsi fino alle spalle, il miscuglio colloso di liquidi corporei scorre anche dentro i guanti, così che uno può anche farne a meno. Per quale motivo girano ancora dei film dell’orrore se esiste tutto questo? I mostri veri e propri sono tutti coloro che ordinano ogni giorno questo massacro!

Dopo poco tempo il coltello non taglia più. ‹Me lo dia – glielo affilo!› Il vecchietto simpatico, in realtà un veterano ispettore delle carni, mi strizza l’occhio. Dopo che mi ha riportato il coltello affilato, chiacchiera un po’ in giro, mi racconta una barzelletta e torna al lavoro. Anche in futuro mi prende un po’ sotto la sua ala protettrice e mi mostra dei piccoli trucchi per facilitarmi il lavoro alla catena. ‹A Lei non piace tutto questo, non è vero? Lo vedo. Ma bisogna superarlo, non c’è verso.› Non posso trovarlo antipatico, cerca in tanti modi di rasserenarmi un po’. Anche tutti gli altri si adoperano per aiutarmi; sicuramente si divertono alle spalle dei numerosi praticanti che vengono e se ne vanno, che inizialmente sono scioccati e poi fanno il loro lavoro a denti stretti. Ma lo fanno con aria bonaria, non vi sono atti di prepotenza. Mi fa pensare che – a parte alcune poche eccezioni – non riesco a considerare che le persone che lavorano qui siano mostri, sono soltanto diventati insensibili, cosa che col tempo succederà anche a me. È una specie di autodifesa. Diversamente sarebbe insopportabile. No, i mostri veri e propri sono tutti coloro che ordinano ogni giorno questo massacro, che con la loro smisurata avidità di carne condannano gli animali a un’esistenza miserevole e a una fine ancor più miserevole costringendo altre persone a fare un lavoro umiliante che le trasforma in barbari.

Lentamente divento un piccolo ingranaggio in questo mostruoso automatismo della morte. A un certo punto, nel corso delle ore interminabili, le mosse monotone diventano meccaniche e faticose. Quasi soffocata dalla cacofonia assordante e dall’onnipresenza del terrore indescrivibile, la ragione torna a galla dalle profondità dei sensi storditi e riprende la sua funzione. Differenzia, ordina, cerca di capire. Ma questo è impossibile.

Quando per la prima volta mi rendo conto coscientemente – il secondo o terzo giorno – che maiali dissanguati, bruciati e segati continuano a contrarsi e a muovere le code, rimango paralizzata. ‹Loro ... loro si contraggono ancora...› dico a un veterinario che passa benché io sappia che sono soltanto i nervi. Egli sghignazza: ‹Maledetti, qualcuno deve aver commesso un errore – questo qui non è ancora completamente morto!› Un polso spettrale fa tremare le carcasse animali – dappertutto. Uno scenario apocalittico. Mi sento gelare fino al midollo.

Non fare questa faccia da funerale. Sorridi. Volevi diventare veterinaria a tutti i costi, vero?›

Tornata a casa, mi butto sul letto e fisso il soffitto. Ore e ore. Ogni giorno. Le persone più vicine a me reagiscono con irritazione. ‹Non fare questa faccia da funerale. Sorridi. Volevi diventare veterinaria a tutti i costi, vero?› Veterinaria. Non macellaio. Non lo supporto. Questi commenti. Questa indifferenza. Questa naturalezza con cui si accetta la morte. Voglio, devo parlare, devo sfogarmi. Soffoco per tutto questo. Vorrei raccontare del maiale che non era più in grado di camminare, che è rimasto seduto con le zampe posteriori divaricate e che pestavano e picchiavano finché non sono riusciti a spingerlo a bastonate nel box di abbattimento. Più tardi l’ho esaminato quando passava davanti a me, diviso in due parti: strappamenti di muscoli su entrambi i lati nella parte interna delle cosce. Era il numero 530 degli animali macellati quel giorno. Questo numero non lo dimenticherò mai. Vorrei parlare dei giorni in cui venivano macellati i bovini, degli occhi bruni dolci e colmi di panico... ... dei tentativi di fuga, di tutte le bastonate e maledizioni fino a che lo sciagurato animale non si troverà finalmente in posizione, pronto per ricevere il proiettile captivo nello stabbio di ferro con vista panoramica che dà sulla sala dove i suoi compagni congeneri vengono scuoiati e tagliati a pezzi – poi il colpo mortale, subito dopo gli viene attaccata la catena alla zampa posteriore che solleva l’animale verso l’alto mentre questo tira calci e si contorce e mentre più in basso qualcuno comincia a tagliargli la testa. E ancora, senza testa, sputando un fiume di sangue, il corpo continua a impennarsi, le zampe continuano a scalciare ... Voglio parlare del rumore orrendamente schioccante quando un argano strappa la pelle dal corpo, voglio parlare dei movimenti automatici delle dita degli scorticatori quando strappano gli occhi – questi occhi strabuzzati venati di rosso, fuori dalle orbite – e li gettano in un buco nel pavimento, dove spariscono i ‹rifiuti›. Voglio parlare dello scivolo di alluminio sporco e viscido sul quale finiscono le frattaglie strappate dall’enorme cadavere decapitato e fatte sparire in una specie di tromba per lo scarico delle immondizie – eccezion fatta per fegato, cuore, polmoni e lingua, adatti al consumo.

Piccoli feti di ogni dimensione con aspetto di vitellini completi, teneri e nudi e con gli occhi chiusi nei sacchi amniotici protettivi che non sono stati in grado di proteggerli …

Voglio raccontare che continuamente si trova un utero gravido in mezzo a questa montagna viscida e sanguinosa, che ho visto piccoli feti di ogni dimensione con aspetto di vitellini completi, teneri e nudi e con gli occhi chiusi nei sacchi amniotici protettivi che non sono stati in grado di proteggerli ... il più piccolo era minuscolo come un gattino neonato eppure era già una vacca vera e propria in miniatura, il più grande era coperto di peli morbidi, bruno-bianchi e aveva lunghe ciglia setose, solo poche settimane prima della nascita. ‹Non è un miracolo, quello che crea la Natura?› commenta il veterinario di turno mentre spinge l’utero con il feto nella tromba gorgogliante per lo scarico delle immondizie. E a questo punto so con assoluta certezza che Dio non esiste, perché nessun fulmine cade dal cielo per vendicare questo sacrilegio che continua a ripetersi ancora e ancora senza fine.

E Dio non esiste neanche per quella vacca miserevolmente magra che giace spasimante nel corridoio gelido ed esposto alle correnti d’aria, davanti al box di abbattimento, quando arrivo la mattina alle sette. Nessuno che s’impietosisca di lei dandole un rapido colpo di grazia. Prima bisogna occuparsi degli altri animali da macello. Quando me ne vado nel pomeriggio, lei è ancora là, ancora spasimante. Nessuno si è degnato di liberarla dalle sue sofferenze. Ho allentato la cavezza conficcata spietatamente nella sua carne e le ho accarezzato la fronte. Mi guarda con i suoi occhi grandi e io vedo che anche le mucche sono in grado di piangere. La colpa che nasce quando assistiamo a un crimine senza intervenire pesa quanto quella che sentiamo quando lo commettiamo. Mi sento così infinitamente colpevole.

Le mie mani, il grembiule e gli stivali sono sporchi del sangue dei suoi compagni congeneri, ho trascorso ore e ore sotto il nastro, ho tagliato cuori, polmoni e fegati. ‹Con le vacche ci si sporca sempre dall’alto verso il basso›, mi avevano avvertita. E questo è tutto ciò che voglio raccontare, per non dovermi caricare di questo peso da sola – ma in fin dei conti nessuno lo vuole sentire. Non è che durante tutto questo tempo non mi abbiano rivolto abbastanza domande. ‹Come te la passi nel mattatoio?

Ah, ma io non sarei in grado!› Affondo le unghie nei palmi delle mani lasciando il segno profondo di mezzelune per non picchiare quei visi compassionevoli o per non gettare la cornetta del telefono fuori dalla finestra. Vorrei urlare, ma da molto tempo tutto quell’orrore a cui devo assistere giorno dopo giorno ha soffocato in gola ogni grido. Nessuno mi ha chiesto se sono in grado di farlo. Le reazioni alle risposte, per quanto brevi che siano, rivelano il disagio causato dall’argomento. ‹Sì, è veramente orribile e anche noi mangiamo solo pochissima carne.› Spesso cercano di spronarmi: ‹Stringi i denti, tieni duro, manca poco e lo avrai superato!› Questo per me è uno dei commenti più brutti, più insensibili e più ignoranti perché il massacro continua, giorno per giorno. Penso che nessuno abbia capito che il mio problema non era tanto superare queste sei settimane, bensì il fatto che questa strage mostruosa avviene milioni di volte – che avviene per ogni singola persona che mangia carne. Specialmente quei carnivori che affermano di essere amici degli animali ora per me hanno perso ogni e qualsiasi credibilità.

Ah, ma smettila, non rovinarmi l’appetito!› Anche con questo genere di commenti sono stata bloccata rigorosamente più di una volta, e a questi commenti hanno fatto seguito forme più pesanti:: ‹Sei una terrorista! Ogni persona normale ti deride!› Quanto ci si sente soli in momenti come questi! Talvolta guardo quel piccolo feto di vacca che ho portato a casa e conservato in formalina. Memento mori. Lascia che ridano, le ‹persone normali›. Occhi che non dimenticherò mai, occhi che dovrebbero vedere tutti coloro che vogliono mangiare carne.

Quando siamo circondati da tanta morte violenta, cambiano le prospettive; la propria vita apparirà infinitamente irrilevante. Prima o poi si guardano le file anonime di maiali fatti a pezzi che attraversano la sala come meandri e ci si chiede: sarebbe diverso se qui ci fossero appese delle persone? Soprattutto l’anatomia posteriore degli animali da macello, grassa e piena di pustole e macchie rosse, ricorda in modo strabiliante quella untuosa e opulenta che fuoriesce da stretti slip da bagno nelle spiagge soleggiate. Anche le grida interminabili che rintronano dalla sala di abbattimento, quando i maiali presentono la loro morte, potrebbero provenire da donne o bambini. Non resta altro che intorpidimento. Prima o poi penso soltanto a che deve finire, deve finire, speriamo che sia veloce con quelle pinze elettriche, affinché finisca finalmente. ‹Molti dei maiali non emettono un suono›, ha detto uno dei veterinari, ‹altri invece stanno là, immobili e gridano senza alcun motivo›.

Osservo anche questo – come stanno là ‹gridando senza alcun motivo›. Ho superato più della metà del mio tirocinio quando finalmente vado nella sala di abbattimento per poter dire: ‹L’ho vista›. E qui termina la strada che inizia davanti vicino alla rampa di caricamento. Il corridoio spoglio, in cui sboccano tutti gli stabbi, si assottiglia e attraverso una porta conduce in un piccolo stabbio di attesa per quattro o cinque maiali alla volta. Se un giorno dovessi raffigurare il concetto ‹Paura›, dipingerei i maiali che si accalcano contro la porta chiusa dietro di loro, disegnerei i loro occhi. Occhi che non potrò dimenticare mai più. Occhi che dovrebbero vedere tutti coloro che vogliono mangiare carne.

Con l’ausilio di un tubo di gomma i maiali vengono separati. Uno di loro viene spinto in avanti in un box che lo circonda su tutti i lati. Il maiale grida, cerca invano di scappare dalla parte posteriore e spesso il guardiano è molto affaccendato prima di riuscire a chiudere finalmente il box con un chiavistello elettrico. Aziona un pulsante e il suolo del box viene sostituito da una specie di slitta mobile sulla quale il maiale si ritrova a cavallo; gli si apre davanti un secondo chiavistello e la slitta con l’animale scivola in un altro box. Il macellatore, che si trova accanto e che segretamente ho sempre chiamato ‹Frankenstein›, posiziona gli elettrodi; un’anestesia in tre punti, come il direttore mi aveva spiegato una volta.

Si può vedere come il maiale s’impenna nel box, poi la slitta si ribalta e l’animale spasimante va a sbattere su uno scivolo coperto di sangue e sgambetta. Anche qui lo aspetta un macellatore. Il coltello colpisce risoluto la parte sotto la zampa anteriore, un fiotto di sangue scuro fuoriesce impetuosamente e il corpo continua a scivolare. Pochi secondi dopo, attorno alla zampa posteriore si è chiusa una catena di ferro e l’animale viene tirato in su mentre il macellatore depone il coltello e stende la mano per afferrare una bottiglia di Coca-Cola sporca, che poggia sul pavimento coperto di uno strato di sangue rappreso di alcuni centimetri di spessore, e si concede un sorso.

Si accende il fuoco e i corpi vengono scossi per alcuni secondi; pare che eseguano una specie di tarantella grottesca. Seguo i cadaveri che si dissanguano e penzolano attaccati al gancio fino a raggiungere l’‹Inferno›. È così che ho battezzato il prossimo locale. È alto e nero, pieno di fuliggine, puzzo e fuoco. Dopo alcune curve grondanti di sangue la fila di maiali raggiunge una specie di forno gigantesco. Qui avviene la depilazione. Dall’alto gli animali cadono in una tramoggia di raccolta e scivolano all’interno della macchina. Si può guardare dentro. Si accende il fuoco e i corpi vengono scossi per alcuni secondi; pare che eseguano una specie di tarantella grottesca. Poi cadono con un tonfo su un grande tavolo che si trova sull’altro lato, vengono afferrati da due macellatori che raschiano via le setole eventualmente residue, strappano gli occhi dalle orbite e separano le lamine ungueali dagli unghioni. Tutto questo dura solo un attimo, qui si lavora a cottimo. Ganci perforano i tendini delle zampe posteriori, gli animali morti sono di nuovo sospesi e avanzano fino a raggiungere un telaio di acciaio strutturato come un lanciafiamme: risuona un rumore che assomiglia all’abbaiare di un cane e le carcasse vengono circondate da fiammate a cui vengono esposte per la durata di alcuni secondi. La catena si rimette in moto e porta alla sala successiva – quella dove ho trascorso già tre settimane. Gli organi vengono estratti e lavorati sulla catena superiore: viene esaminata la lingua, vengono separati e buttati via tonsille ed esofago, vengono tagliati linfonodi, polmoni vanno a finire nella tromba per lo scarico dei rifiuti, vengono aperti trachee e cuori, si prelevano campioni destinati all’analisi per l’individuazione di trichine, viene eliminata la vescica biliare ed eseguito l’esame elmintico. Molti maiali sono infestati da vermi, i loro fegati sono pieni di vermi e dovranno essere buttati via. Tutti gli altri organi come stomaco, intestino e apparato genitale finiscono nei rifiuti.

Nella catena inferiore il resto della carcassa viene preparato per l’uso: si fa a pezzi, si tagliano le articolazioni, si eliminano ano, reni e sugna, si aspirano cervello e midollo spinale ecc., poi bisogna applicare il timbro su spalla, nuca, lombo, pancia e coscia e trasportare queste parti nel magazzino frigorifero. Le parti non adatte al consumo vengono ‹sequestrate› provvisoriamente. Per persone inesperte la timbratura è un lavoro molto pesante. All’estremità terminale del nastro i cadaveri tiepidi e viscidi sono appesi molto in alto e per evitare di venir colpiti a morte, bisogna lavorare in fretta, perché davanti alla bilancia le carcasse sbattono violentemente l’una contro l’altra.

Ho la sensazione che la mia pelle si sia impregnata per sempre di tutto questo imbrattamento e odore. Fuori da qui, fuori. È impossibile dire quante volte in tutti questi giorni lascio vagare lo sguardo sull’orologio che è appeso nella sala pause. Sono sicura che nessun orologio del mondo va più lentamente di questo. Ogni mattina, quando è trascorso metà del tempo, ci permettono di fare una pausa. Traggo un sospiro di sollievo e mi precipito nel lavatoio, mi pulisco alla meglio da sangue e brandelli di carne; ho la sensazione che la mia pelle si sia impregnata per sempre di tutto questo imbrattamento e odore. Fuori da qui, fuori.

In questo posto non sono mai riuscita a mangiare nemmeno un boccone. La pausa la trascorro fuori e non importa quanto faccia freddo, corro fino al recinto di filo spinato, tengo lo sguardo fisso sui campi e sui margini del bosco e osservo le cornacchie, oppure vado al centro commerciale ubicato al di là della strada. In un piccolo panificio posso riscaldarmi con una tazza di caffè. Dopo venti minuti devo tornare al nastro di produzione.

Mangiare carne è un crimine. Nessun carnivoro potrà essere mio amico. Mai più. Mai! Mai più. Penso che chiunque mangi carne, dovrebbe essere mandato qui e vedere, vederlo tutto, dall’inizio fino alla fine. La scaloppina acquistata al supermercato nella sua confezione sigillata non ha più occhi che traboccano di paura, paura di morte. Quella scaloppina non grida più.

Io non sono qui perché voglio diventare veterinaria, ma perché gli uomini ritengono di dover mangiare carne. E non solo questo: sono qui anche perché loro sono vigliacchi. La scaloppina acquistata al supermercato nella suo confezione sigillata non ha più occhi che traboccano di paura, paura di morte. Quella scaloppina non grida più. Tutti coloro che si nutrono di cadaveri deturpati si risparmiano tutto questo: ‹Ma io non sarei proprio in grado di farlo!›

Un giorno arriva un contadino che porta campioni di carne per individuare l’eventuale presenza di trichine. Un ragazzino di circa dieci o undici anni lo accompagna. Vedo come il bambino preme il naso contro la finestra e penso: Se lo vedessero i bambini, tutto questo terrore, tutti questi animali uccisi, non ci sarebbe speranza? Sento come il ragazzino chiama suo padre. ‹Papà, guarda! Grande! Guarda quella sega enorme!› – La sera in TV fanno un rapporto su un crimine commesso contro una giovane ragazza che è stata uccisa e fatta a pezzi, parlano dell’orrore indicibile e della ripugnanza della gente come reazione a questa atrocità. ‹Ho visto una cosa simile 3.700 volte questa settimana›, replico. Ora non sono più soltanto una terrorista, ma sono anche malata di mente. Perché non sento l’orrore e la ripugnanza soltanto quando si tratta dell’omicidio di un essere umano, ma anche quando si tratta dell’uccisione di animali, mille e più volte pestati. 3.700 volte soltanto in questa settimana, soltanto in questo mattatoio. Essere uomo non significa forse dire di no e rifiutarsi di essere il mandante di un omicidio di massa per un pezzo di carne? Come è strano questo nuovo mondo. Forse la sorte più felice di tutti noi l’hanno avuta i minuscoli vitellini strappati dal grembo materno, che sono morti ancor prima di nascere.

Prima o poi è giunto l’ultimo di tutti questi giorni interminabili. Prima o poi dispongo del certificato del tirocinio, una cartaccia, ottenuta a caro prezzo, a un prezzo più caro di qualsiasi prezzo che abbia mai pagato per qualcosa. La porta si chiude, il timido sole di novembre mi accompagna attraverso il cortile spoglio fino all’autobus. Le grida e il rumore delle macchine si attenuano. Quando attraverso la strada, un grosso carro bestiame con rimorchio svolta e accede al mattatoio. Maiali pigiati su due piani.

Io me ne vado senza guardare indietro, perché ho prestato testimonianza e ora voglio tentare di dimenticare, per poter continuare a vivere. Che siano altri a lottare ora; in quel posto mi hanno rubato la forza di combattere, hanno distrutto la mia volontà, la gioia di vivere sostituendole con sensi di colpa e una tristezza plumbea. L’inferno si trova in mezzo a noi, migliaia di volte, giorno per giorno. Una cosa, però, resta a ognuno di noi: dire di NO. No, no e no!» (Fine del rapporto della veterinaria Christiane Haupt)

Il rinomato autore e psicologo Dr. Helmut Kaplan fa riferimento al rapporto di Christiane Haupt nel suo articolo «Tradimento agli animali» («Verrat an den Tieren») (per il testo completo rimandiamo a www.tierrechte-kaplan.org/kompendium/a214.htm). Qui di seguito ne riportiamo un estratto:

«Un video di dodici minuti dell’anno 2011 sulla normalissima quotidianità in un mattatoio dimostra in modo terribilmente impressionante che Christiane M. Haupt non è andata a finire in un mattatoio particolarmente brutto in un momento poco propizio. Non è stato ripreso da una «telecamera nascosta», ma con un permesso di ripresa ufficiale in un mattatoio certificato UE nella zona di confine tra l’Austria superiore e la Baviera.

Una scena chiave: «Un toro imponente, sollevato con una catena di ferro attaccata alla zampa posteriore, è appeso a testa in giù sopra la catena – apparentemente anestetizzato dal proiettile captivo. Il macellatore gli taglia la gola con un grosso coltello, un fiotto di sangue fuoriesce impetuosamente. (...) Improvvisamente succede qualcosa che fa rabbrividire l’osservatore: mentre il macellatore squarcia il petto fischiettando fra sé e sé, gli occhi dell’animale si aprono e si chiudono lentamente. E poi il toro comincia a urlare – lo si sente molto chiaramente nel video: un muggito tremendo, rauco e gorgogliante che copre il chiasso del processo di macellazione. Alla fine l’animale coperto di sangue e appeso al gancio riesce addirittura a impennarsi alcune volte. Il macellatore, che sta tagliando gli zoccoli anteriori, deve mettersi al coperto. L’agonia dura lunghi minuti.»

Come già anticipato, questa scena orrenda fa parte della quotidianità dei mattatoi (e bisogna sottolineare che, nel caso del mattatoio in questione, si tratta di una cosiddetta «impresa modello», il che lascia presumere che altrove si proceda in modo ancora più brutale): 6 dei 30 animali anestetizzati in un’ora con il proiettile captivo si sono risvegliati.

Una rielaborazione del video (che è stato trasmesso da alcuni magazzini televisivi in Germania), durante la quale sono state aggiunte alcune sequenze finora non mostrate, hanno portato alla luce altri dettagli orripilanti: «Nella nuova versione si vede che il toro non urla soltanto mentre si contorce nell’agonia per tanti minuti. Quando il macellatore sta cercando di pulire se stesso e la sala di macellazione eliminando il sangue copioso con un tubo dell’acqua, l’animale tormentato, allo stremo delle sue forze e a lingua penzoloni, tenta disperato di chinarsi verso il getto d’acqua. Le riprese documentano chiaramente: gli animali sono completamente consci. Percepiscono ancora il loro ambiente mentre vengono tagliati sul nastro e ridotti a pezzi di carne.»

Si può richiamare il video all’indirizzo: www.tierrechtsfilme.at/langfilme/bruellen_der_rinder/film.htm

Oltre allo scandalo permanente della mancanza di controlli e dell’anestetizzazione a cottimo (!) un motivo attuale per l’anestetizzazione insufficiente con proiettili captivi sono le modifiche dei metodi di macellazione dovute a BSE: a partire dall’inizio dell’anno 2011 nell’UE è vietato l’uso dei cosiddetti «coltelli per macellare» perché in questo modo si potrebbe distribuire tessuto nervoso potenzialmente infetto su tutta la carcassa. Quell’asta si inseriva nel midollo spinale attraverso il foro di entrata del proiettile per cui la morte cerebrale era irreversibile ed era garantito che l’animale non sentisse più alcun dolore. Ingrid Schütt-Abraham dell’Istituto federale tedesco per la tutela sanitaria del consumatore e medicina veterinaria spiega che rinunciando ai coltelli per macellare i risultati insufficienti sarebbero stati programmati. D’altro canto questa rinuncia ha reso noto che esistono anestetizzazioni non riuscite, come constata il veterinario Karl Wenzel del Ministero dei Consumatori di Monaco di Baviera, ovvero che per alcuni animali l’anestetizzazione finora adottata con proiettili captivi è semplicemente insufficiente. In questo contesto Klaus Troeger dell’Istituto Federale di Ricerca per la Carne a Kulmbach dice: Prima del decreto UE del gennaio 2001, vale a dire prima del divieto dell’uso del coltello per macellare, i «problemi causati da proiettili captivi non posizionati correttamente sono stati nascosti».

Il Dr. Kaplan continua:

«Alcuni di noi hanno già sperimentato sulla propria pelle cosa significhi essere traditi. A volte ci vogliono anni prima di riprendersi dall’orrore paralizzante causato dall’incredibile infedeltà. Spesso lo shock perdura per tutta la vita. Ma che sciocchezze sono queste se relazionate al tradimento nei confronti degli animali! Forse anche quegli animali che oggi si ritrovano nel mattatoio, un tempo sono stati trattati bene dall’uomo. I contadini biologici, per esempio, non si stancano di sottolineare quanto è stretto il loro rapporto con i propri animali. Conosciamo tutti le immagini di contadini che accarezzano «affettuosamente» i loro animali. E poi, improvvisamente, questi animali si ritrovano all’inferno, circondati da uomini che li tormentano con le violenze più mostruose e spaventose La praticante-veterinaria Christiane M. Haupt ha vissuto il tradimento nei confronti degli animali in nome dei carnivori e questa esperienza l’ha distrutta: «Ho prestato testimonianza e ora voglio tentare di dimenticare per poter continuare a vivere. Che siano altri a lottare ora; in quel posto mi hanno rubato la forza di combattere, hanno distrutto la mia volontà, la gioia di vivere sostituendole con sensi di colpa e una tristezza plumbea.»

Il libro «Slaughterhouse» di Gail A. Eisnitz, per cui l’autrice ha intervistato operai in mattatoi con l’esperienza di un totale di due milioni di ore nel box di anestetizzazione, dimostra che le atrocità fin qui descritte non sono altro che la punta dell’iceberg dei crimini commessi nei mattatoi dei cosiddetti paesi «civilizzati» su scala globale. I seguenti estratti da interviste con operai di mattatoi sono stati presentati al pubblico il 18 settembre 1999, in occasione della presentazione del libro dell’autrice:

«Ho visto carne bovina vivente. Li ho sentiti muggire quando la gente puntava il coltello per tentare di scuoiarli. Penso che sia una cosa crudele per l’animale morire così lentamente mentre ognuno fa i propri lavori su di lui.» «La maggior parte delle vacche che appendono ... sono ancora vive. Le aprono. Le scuoiano. E sono ancora vive. Tagliano loro gli zoccoli. Hanno gli occhi spalancati e piangono. Urlano e si può vedere come gli occhi quasi escono fuori dalle orbite.»

Un operaio mi ha raccontato che una vacca è collassata dopo essere rimasta incastrata con una zampa nel fondo di un camion. «Come hai fatto a farla uscire viva?» chiedo al tizio. «Oh», dice, «da sotto il camion le abbiamo semplicemente tagliato la zampa». Quando qualcuno ci racconta una cosa simile, ci rendiamo conto che esistono molte cose che non ci rivela nessuno.

«Un’altra volta c’era un maiale vivo che non aveva fatto nulla di errato, non correva nemmeno di qua e di là. Ho preso un pezzo di tubo lungo 1 metro e praticamente l’ho picchiato a morte.»

«Se c’è un maiale che si rifiuta di muoversi, basta prendere un gancio da macellaio e ficcarglielo nell’ano. (...) Poi lo tiri indietro. Tiri questi maiali mentre sono vivi e spesso il gancio viene strappato dall’ano.»

«Una volta ho preso il mio coltello – è abbastanza affilato – e ho tagliato un pezzo dal grugno di un maiale, come se fosse un pezzo di prosciutto. Per alcuni secondi il maiale è impazzito. Poi è rimasto semplicemente seduto là con un’espressione ebete. Allora ho preso una manciata di salamoia e gliel’ho strofinata nel naso. Allora il maiale è impazzito davvero e infilava il suo naso dappertutto. Avevo ancora un po’ di sale nella mia mano e allora l’ho infilato direttamente nel culo del maiale. A quel punto il povero maiale non sapeva più se cagare o diventare cieco.»

«Dopo un po’ di tempo diventi insensibile. (...) Se hai davanti un maiale vivo ..., non lo uccidi semplicemente. Vuoi che soffra, che abbia dolori. Lo tratti duramente, gli distruggi la trachea, fai in modo che anneghi nel proprio sangue. (...) Una volta un maiale mi ha guardato e allora ho preso il mio coltello e (...) gli ho staccato l’occhio, mentre se ne stava seduto là. E quel maiale non ha fatto altro che gridare.»

(Fine citazioni del Dr. Kaplan. Per il testo intero e per le indicazioni bibliografiche rimandiamo all’indirizzo Internet: www.tierrechte-kaplan.org/kompendium/a214.htm)

La documentazione di tutti questi atti di maltrattamento di animali in filmati innumerevoli viene bagatellizzata dai colpevoli e dai suoi complici politici che sostengono che si tratterebbe soltanto di eccezioni e che la legge sulla tutela degli animali li proteggerebbe. Ma ciò che succede è proprio il contrario. In verità le leggi mondiali sulla «tutela degli animali» non sono altro che leggi «sull’uso» e sullo «sfruttamento» che permettono che gli animali debbano sopportare sofferenze inaudite e che servono unicamente a legalizzare questo loro brutale sfruttamento.

In seguito alla continua produzione di latte le cosiddette «mucche da latte» si logorano entro brevissimo tempo. Non appena gli animali stremati non producono più abbastanza latte, finiscono anche loro al macello. Invece di poter trascorrere una vita normale di circa 25 a 30 anni, le «mucche da latte» logorate vengono «smaltite» già dopo 4 – 5 anni. Vengono inseminate artificialmente ogni anno per evitare che il flusso del latte si esaurisca, perché soltanto dopo la nascita di un vitellino una vacca può produrre latte. Dopo il parto si separano madre e figlio, e ciò provoca un dolore traumatico di separazione per entrambi gli animali. Per via dell’istinto innato questo dolore per la separazione è talmente drammatico, che tanto la mucca quanto il suo vitellino continuano a gemere per giorni e giorni. Ma anche per i vitellini il calvario non finisce qui. Se si tratta di femmine, finiscono nella produzione di latte dove sostituiscono le loro madri stremate. Anche questi vitellini per la durata della loro breve vita sono intrappolati nel circolo vizioso di gravidanze forzate ed esaurimento fisico dovuto alla sottrazione intensiva del latte, ai parti e al dolore traumatico della separazione. Gli animali maschi sono destinati alla produzione di carne e vengono ingrassati in piccoli stabbi oscuri. Spesso trascorrono tutta la loro vita in box che sono appena più grandi del loro corpo. Tuttavia, dato che su scala mondiale vengono prodotti troppi vitelli, questi vengono semplicemente eliminati in cosiddetti «mattatoi Erode». Queste atrocità succedono solamente perché i consumatori pretendono latte e latticini. Latte e latticini i cui effetti devastanti sulla salute umana ormai sono stati dimostrati da innumerevoli studi scientifici.

Questo filmato sul latte e sulle mucche da latte offre una prima idea: www.dr-med-henrich.foundation/video-milchkuehe

È noto il maltrattamento degli animali per la produzione di uova negli impianti mondiali per l’allevamento delle cosiddette galline ovaiole ed è stato addirittura chiamato così dalla Corte Costituzionale tedesca (con la cosiddetta «sentenza sulle galline ovaiole»). Ciò nonostante il maltrattamento continua. Anche l’allevamento di massa a terra delle galline ovaiole nell’allevamento biologico non è adeguato alla loro specie e rappresenta chiaramente un atto di maltrattamento.

Filmato sulle uova: veg-tv.info/Küken_sexen

Poiché le uova le fanno soltanto le galline femmine, mentre dalle uova covate escono tanti pulcini maschi quanti femmine, i pulcini maschi vengono gasati o gettati vivi in un tritacarne e ridotti in poltiglia in quanto «inutili» al ciclo produttivo. Questi pulcini maschi non sono adatti alla «produzione di carne di pollame» perché a questo scopo sono state allevate razze speciali. La distruzione quotidiana di cuccioli è assolutamente normale (anche nell’allevamento biologico) e questa realtà ordinaria viene coperta dalle leggi mondiali per la «tutela degli animali» perché i consumatori vogliono mangiare la «bomba» di colesterolo chiamata uovo.

Innumerevoli video (riprese aperte e nascoste) girati nei mattatoi in tutto il mondo dimostrano che gli animali non sono esposti soltanto al terrore inevitabile e alle torture di un allevamento di massa intensivo e dell’uccisione di massa, ma che gli operai nei mattatoi li torturano coscientemente per motivi sadici o altri bassi motivi con una frequenza spaventosa. Come medico con conoscenze in psicologia e psichiatria io non mi meraviglio veramente che nei mattatoi succedano maltrattamenti così estremi degli animali. Dopo l’analisi di innumerevoli documenti filmati mi pare che il mattatoio sia un luogo ideale per poter godere appieno (quasi sempre senza dover temere una punizione) le perversioni più sadiche. Anche questo fatto dovrebbe essere portato a conoscenza di ogni consumatore di prodotti animali. Non si deve dimenticare che anche le mucche da latte e le galline ovaiole «a fine carriera», quando non servono più a realizzare un profitto, vengono uccise negli stessi mattatoi. Pertanto, alla fine non esiste una differenza etica tra il consumo di carne, latte e uova! Gli animali ad allevamento biologico vengono uccisi negli stessi mattatoi e con lo stesso terrore di tutti gli altri animali da macello. Per quanto riguarda i prodotti animali biologici, questo non è altro che un trucco di marketing per manipolare coloro che sono sensibili. In questo modo possono consumare carne, latte e uova con la coscienza quasi pulita.

La cosiddetta «tutela degli animali» fallisce completamente quando si tratta di proteggere gli animali da reddito, perché in realtà può essere considerata al massimo una «tutela degli animali da coccolare» come cani e gatti. Il giornalista Ingolf Bossenza lo puntualizza in un suo articolo:

«In fin dei conti la tutela degli animali è chiaramente definita in uno Stato civile. Chi con una mano accarezza un cane mentre con l’altra si riempie la pancia con una bistecca, rientra perfettamente nel modello schizofrenico ideale.»

Ogni consumatore decide ogni giorno davanti al banco se con l’acquisto di carne, pesce, latte, latticini, formaggio e uova vuole dare l’incarico allo sfruttamento brutale, alla tortura spietata e all’uccisione di animali.

Per ulteriori informazioni raccomando vivamente:

  • Food Revolution, Ernährung – Der Weg zu einem gesunden Leben in einer gesunden Welt, di John Robbins (in lingua tedesca), Hans-Nietsch-Verlag, ISBN 3-034647-50-2 Un libro fantastico – molto raccomandabile!
  • «Earthlings» è un documentario impressionante sull’allevamento di massa con il noto attore americano Joaquin Phoenix nel ruolo del commentatore: www.youtube.com/watch (versione sottotitolata italiana)

Per la tutela del clima e dell’ambiente

Già il genio del XX secolo, Albert Einstein disse che: «Niente beneficerà la salute umana ed aumenterà le possibilità di sopravvivenza sulla Terra quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana.» Però Einstein disse anche: «Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana, e non sono ancora sicuro della prima.»

Ancor prima del traffico automobilistico è l«’industria degli animali da reddito» con la sua produzione di carne e latte a costituire la causa principale del riscaldamento globale e pertanto della catastrofe climatica, a causa dell’emissione di gas serra come metano e CO2. Le foreste tropicali tanto importanti per il clima mondiale vengono disboscate al fine di ottenere terreni da pascolo per gli «animali da reddito» e per coltivare piante da foraggio. Il «polmone verde» di madre Terra viene distrutto a un ritmo vertiginoso e senza precedenti.

Persino l’Ufficio Federale Tedesco per l’Ambiente ha invitato i consumatori ad adottare un comportamento eco-responsabile e a limitare il consumo di carne. Nella «Berliner Zeitung» il capo dell’autorità suddetta, il Prof. Dr. Andreas Troge, ha detto: «Dovremmo riesaminare il nostro elevato consumo di carne.» Ciò non solo farebbe bene alla salute, ma anche al clima. «E non significherebbe neanche ridurre la qualità della vita», ha aggiunto il presidente Ufficio per l’Ambiente. Il presidente dell’organizzazione dell’ONU «Intergovernmental Panel on Climate Change» (IPCC), il premio Nobel 2007 Rajendra Pachauri, ha invitato a mangiare meno carne, poiché il consumo di carne rappresenta un’abitudine molto dannosa per il clima. Diversi studi hanno dimostrato che la produzione di un chilo di carne provoca emissioni dell’ordine dei 36,4 kg di CO2.

Il 21.10.2009 il rinomato WorldWatch Institute ha pubblicato uno studio sull’importanza e il peso dell’allevamento degli animali e del consumo di prodotti animali per il mutamento climatico. Stando a questo studio, il consumo di carne, latte e uova è responsabile di almeno il 51 % delle emissioni globali dei gas serra causate dall’uomo! Fonte: www.worldwatch.org/files/pdf/Livestock%20and%20Climate%20Change.pdf

La cosa incredibile non è soltanto l’estrema importanza dell’allevamento di animali per il mutamento climatico, ma anche il fatto che ciò venga ignorato in quasi tutte le discussioni televisive su questo argomento. Ciò accade benché i politici, gli scienziati, i giornalisti e gli altri partecipanti a tali discussioni siano a conoscenza dell’effetto devastante dei prodotti animali sul clima. O dobbiamo pensare che queste persone non si siano informate sull’argomento ma ne parlino ugualmente? Una cosa è certa: senza cambiare le abitudini alimentari dell’uomo in direzione di una dieta vegana tutte le altre misure adottate per ridurre i gas serra avranno un effetto minimo e non potranno impedire la catastrofe climatica.

Tuttavia, queste persone esprimono la loro grande preoccupazione relativa al mutamento climatico e alle sue conseguenze disastrose. E noi rimaniamo sbalorditi davanti alla constatazione che semplicemente non affrontano il fattore più importante e rilevante per la catastrofe climatica. A quanto pare, per questa gente è molto più importante deliziarsi il palato con prodotti animali che non salvare il mondo. Tutti i partecipanti sanno di fingere davanti agli spettatori, esternando preoccupazione; in realtà formano un’associazione che non intende rinunciare ai prodotti animali – a spese del mondo; tanto sanno bene che il mutamento climatico, molto probabilmente non li colpirà di persona, ma colpirà piuttosto i paesi meno sviluppati e le generazioni future.

Con la pesca si sono quasi svuotati gli oceani cosicché anche qui è imminente una catastrofe ecologica. Gli stock di molti tipi di pesce sono minacciati da estinzione. Lo sfruttamento dei mari del mondo ha raggiunto dimensioni gigantesche e li ha convertiti in vere e proprie discariche per sostanze chimiche e materie plastiche. Gran parte dei pesci sono contaminati da sostanze tossiche cosicché il consumo di questi pesci rappresenta un rischio ingente per la salute dell’uomo.

Alla luce di questi fatti si rende sempre più evidente la fondatezza dello scetticismo di Albert Einstein nel valutare l’intelligenza umana. La situazione è talmente drammatica e addirittura perversa, che gli uomini, consumando prodotti animali, non solo danneggiano la propria salute, sfruttano brutalmente le creature animali e causano la morte per fame di adulti e bambini, ma danneggiano pesantemente l’ambiente sebbene esso rappresenti il presupposto assolutamente indispensabile per sopravvivere sulla Terra. L’umanità sta distruggendo le basi per continuare a esistere – non solo per se stessa ma anche e particolarmente per i propri figli e nipoti.

Come consumatori ognuno di noi decide ogni giorno al banco di negozio se comprando prodotti animali vuole contribuire alla distruzione dell’ambiente e alla catastrofe climatica.

Per ulteriori informazioni raccomando vivamente:

  • Food Revolution, Ernährung – Der Weg zu einem gesunden Leben in einer gesunden Welt, di John Robbins (in lingua tedesca), Hans-Nietsch-Verlag, ISBN 3-034647-50-2 Un libro fantastico – assolutamente raccomandabile!

 

 

 

Il motivo religioso

Il seguente testo è stato scritto esclusivamente per le persone che credono in Dio. Qui non è importante una religione concreta, perché il testo si fonda soltanto su quello che tutte le (grandi) religioni hanno in comune.

Secondo quanto riportano tutte le religioni, Dio creò il mondo, gli uomini e gli animali. Dio regalò all’uomo il corpo, lo spirito e la salute. Dio creò un ambiente intatto con gli animali che lo occupano.

È pensabile che Dio osservi con compiacimento che ...

  • il Suo Creato sia sfruttato e distrutto?
  • l’uomo rovini la salute che gli è stata regalata con un’alimentazione dannosa?
  • l’uomo privi il suo prossimo nel Terzo Mondo del cibo, che lo lasci morire di fame e che con questo cibo faccia ingrassare, invece, gli «animali da reddito» tormentati perché ritiene più importante deliziarsi il palato di quanto stimi la vita di un altro essere umano?
  • l’uomo distrugga l’ambiente e provochi una catastrofe climatica?
  • gli animali da Lui creati siano sfruttati e tormentati?

Tutto ciò succede perché l’uomo consuma carne, salsicce, latte, formaggio, uova e altri prodotti animali. Chiunque mangi questi prodotti animali, fa parte di un sistema che danneggia e distrugge il Creato di Dio. È beninteso che si tratta di una partecipazione con piena cognizione dei nessi descritti in questo opuscolo.

Per un credente che ha calpestato il Creato potrebbe finire in modo disastroso allorquando, dopo i pochi anni della sua esistenza mortale, dovrà presentarsi davanti al Creatore. Tutto ciò vale la pena in cambio di una banale delizia del palato?

Conclusioni personali dell’autore

Se consideriamo i fatti, restiamo esterrefatti dalla cattiveria, dall’ignoranza, dalla stupidità e dall’egoismo dell’umanità. Io provo un dolore insopportabile e una compassione infinita per gli esseri più indifesi che sono abbandonati al crimine degli uomini senza possibilità di difendersi: bambini che muoiono di fame e animali maltrattati con indicibile crudeltà. Ogni giorno oscillo fra rabbia, dolore e impotenza quando mi vedo messo di fronte a questo crimine quotidiano. Però non voglio e non posso chiudere gli occhi, come lo fa la maggioranza della gente che non si interessa della sofferenza dietro i muri delle fabbriche di animali e dei mattatoi. Detesto le attività criminali che provocano la morte di circa 40.000 bambini al giorno per fame e malnutrizione, perché si preferisce dare gli alimenti vegetali agli animali torturati per produrre carne, latte e uova. I figli del benessere, consumando questi prodotti di origine animale, vengono colpiti da tutte le tipiche malattie della società del benessere, che come culmine della depravazione morale dell’industria della sanità, comportano esperimenti su animali quasi sempre inutili.

Joaquin Phoenix mi ha letto nell’animo quando alla fine del documentario «Earthlings» dice in merito ai crimini descritti: «Il maltrattamento e la morte sistematici di esseri senzienti mostrano il punto più basso di degradazione e mancanza di dignità che l’umanità possa raggiungere.» («The systematic torture and killing of sentient beings show us what is the lowest point of debasement mankind can reach.»). Appoggiandomi sulle parole del premio Nobel per la letteratura, l’ebreo Isaac Bashevis Singer, anch’io mi sono convinto da molto tempo che il modo in cui l’uomo tratta le altre creature rappresenta un oltraggio alla cosiddetta «dignità umana» e al cosiddetto «Umanesimo». Secondo me: «Il pagamento per il maltrattamento e la morte sistematici di esseri senzienti mostrano il punto più basso di degradazione e mancanza di dignità che un consumatore possa raggiungere.»

Diventa vegan! È molto facile. Bisogna soltanto cambiare le abitudini. È il metodo più efficace per dare in modo pacifico il contributo più importante alla tutela del clima, dell’ambiente, degli animali, degli uomini e della propria salute.

Dr. med. Ernst Walter Henrich